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Truma

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Chioggia 1557, il cartografo Cristoforo Sabbadino disegna la città con le calli, la piazza, i tre canali, le chiese, le isole nelle isole. Chioggia 1762, Carlo Goldoni cammina verso Vigo e prende appunti dell'indole delle donne baruffanti, dei mocciosi che giocano a terra e sulla riva, delle autorità pacificatrici. Uguali le calli, la piazza, i canali, le chiese, le isole. Chioggia 2018, la Bianca e la Maria fanno la spesa con le sporte celesti, comprano i carciofi mondati dalla siora Giovanna ai Filippini e passano il pomeriggio a giocare a tombola in un garage di calle Vescovi: ancora le stesse calli, la medesima piazza, i canali rimasti tre, le chiese care anche ai non credenti, le isole magari urbanizzate ma fondamentalmente identiche a cinquecento anni prima, a trecento anni prima.

A Chioggia “Niente passe”, soltanto la vita di chi scrive e di chi viene raccontato in Per grazia ricevuta, il secondo album dei Truma dopo il fortunato esordio omonimo: un disco di storie, di persone, di vicende note o leggendarie con nome e soprannome, bambini neonati da crescere, amori teneri e dolci greci come «la giostra de sùcaro e nóse» oppure finiti nel tango («dopo tempo ti ricordi ogni parola che avémo dito mì e tì co la ze finìa»), un intrumarse nella materia viva della città unica e di ciò che la circonda.

La penna di Riccardo Vianello scrive come se avesse conosciuto direttamente la fatica del mare fin da bambino, la ciurma nel sestetto si fa portolata per far sì che le cronache, i mestieri, gli amori arrivino a destinazione il prima possibile. Ma a volte in mare qualcosa va storto: e allora occorre portare una tolèla, una tavoletta ex voto, a San Domenico o a San Giacomo, che ancora le contengono, a San Filippo e a Sant'Andrea, patrono dei pescatori, al Duomo intitolato a Maria Assunta, al Signore che «végia 'sto batelo, 'na vela per rivare giusti per calare, végia el vento bon che no l'èbia da girare». Come il vigariòlo di Comisso, i Truma riconoscono a distanza dalle vele le fattezze di chi torna a casa dal mare, di chi li aspetta sulla riva, di chi fa festa con loro all'osteria: «Vardo el paese da sora la riva, da dove se vede la casa e le cèse»; altrimenti si fonde «un recìn de oro per farse soterare» per chi -svoltato l'angolo di San Domenico- non è riuscito a rivedere la propria sposa. “Végia” è un brano sacrale e commovente, tenue e vagamente deandreiano nella poetica, culmine autoriale che si fa epos di popolo. E la tolèla nella vicina chiesa poteva portarla “La Bomba del Squero”, «pì grossa de un vièro pien» (i vieri sono i contenitori delle prelibate moléche): altra leggenda metrolagunare della Chioggia anni Ottanta, farsa grottesca da una storia vera, fanfara che incalza a punta Poli. Divertente per chi la ricorda, meno per la poveretta che l'ha subìta.

Per grazia ricevuta abbraccia uno spettro sonoro se possibile ancora più vario rispetto al pur ricco debutto: si è aggiunto in formazione il violino di Riccardo Gigo, fanno la loro comparsa il theremin e l'ukulele, il mandolino e i carillon, i preziosi contributi di ospiti dalla scena chioggiotta come Chiara Doria che presta la sua voce a due brani, la tromba di Mirco Parisi nell'”Insicurezza tipica delle isole”, il pianoforte di Gianni Zennaro “Garolo” che contrappunta “La marea”, unico brano in italiano. Uno standard jazzato da club fumoso e francese, à la Cammariere, spiega a tutta l'Italia le più intime sensazioni che l'acqua alta eccezionale -ancora di rado in grado di abbattersi sulle città e i paesi di laguna sud- reca a chi ci vive: «Gli stivali sempre troppo bassi, orecchie puntate, occhi sbarrati, alla ricerca di un passaggio in quest'oceano senza rive, bloccati sotto un arco per capire». Fuori dall'acqua, «lontan dai pòrteghi e da le piasse, in boca a la buòra e ai desperai», c'è la Munega Mata: equilibrio delicato tra il ritmo incalzante, l'ambiente torvo, assonanze e allitterazioni, le parole di allora e quelle di oggi, il violino tzigano dall'Ungheria yiddish, agganci al reale, un marranzano che rimanda al Capossela meridionalista e una vicenda oscura che tutti a Chioggia raccontano ciascuno a proprio modo, senza ancoraggi o punti fermi.

Perché l'insicurezza tipica delle isole sta proprio nella differenza tra «noialtri e el resto del mondo» mariachi, gente che «se ferme a vardare le onde romparse su le rive, nel mezo de ogni tempesta» anche se “La bona stagion” sta iniziando davvero a dare i suoi effetti: un brano dal sentore adriatico e mediterraneo che è pura osservazione, video ambulante di Sottomarina all'alba di maggio, «doman dovarave fare mègio, le puoche luci del lungomare / come un crocale fermo su la riva in serca de qualcossa da becolare». L'insicurezza tipica degli isolani è la consapevolezza amara che «solo tì ti puoi portarme via de qua, e da 'sta vita che n'ha ciavà», è che a un'ora da tutto siamo come “Strasse a stèndare”, altro manifesto del disco: «Avémo sercà fortuna puntando verso tèra, ma trovà la vita sora 'sta laguna, nissioi in vista che sbate al vento e che no à mai pase, e tute le so' àneme ze ben se destriga», musica leggera e sprazzo pop nel cuore della canzone italiana di alta radiofonia.

Undici brani, prodotti artisticamente dagli stessi Truma e registrati da Marco Chiereghin con Riccardo Vianello: nuove visioni dell'immutabile, pennelli delle tradizioni per affrescare ciò che si evolve, un atto d'amore alla terra di acque e a chi dallo scoglio verghiano non uscirà mai del tutto. Una tolèla di ringraziamento alla musica, a quel che vedono gli occhi ogni giorno: «Dime che forse, che tì ti à capìo, che ze mègio fermarse che córarse a drìo».

Il cd Per grazia ricevuta si può acquistare al prezzo di 10 euro al Pointbreak in lungomare Adriatico a Sottomarina.



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Chioggia 1557, il cartografo Cristoforo Sabbadino disegna la città con le calli, la piazza, i tre canali, le chiese, le isole nelle isole. Chioggia 1762, Carlo Goldoni cammina verso Vigo e prende appunti dell'indole delle donne baruffanti, dei mocciosi che giocano a terra e sulla riva, delle autorità pacificatrici. Uguali le calli, la piazza, i canali, le chiese, le isole. Chioggia 2018, la Bianca e la Maria fanno la spesa con le sporte celesti, comprano i carciofi mondati dalla siora Giovanna ai Filippini e passano il pomeriggio a giocare a tombola in un garage di calle Vescovi: ancora le stesse calli, la medesima piazza, i canali rimasti tre, le chiese care anche ai non credenti, le isole magari urbanizzate ma fondamentalmente identiche a cinquecento anni prima, a trecento anni prima.

A Chioggia “Niente passe”, soltanto la vita di chi scrive e di chi viene raccontato in Per grazia ricevuta, il secondo album dei Truma dopo il fortunato esordio omonimo: un disco di storie, di persone, di vicende note o leggendarie con nome e soprannome, bambini neonati da crescere, amori teneri e dolci greci come «la giostra de sùcaro e nóse» oppure finiti nel tango («dopo tempo ti ricordi ogni parola che avémo dito mì e tì co la ze finìa»), un intrumarse nella materia viva della città unica e di ciò che la circonda.

La penna di Riccardo Vianello scrive come se avesse conosciuto direttamente la fatica del mare fin da bambino, la ciurma nel sestetto si fa portolata per far sì che le cronache, i mestieri, gli amori arrivino a destinazione il prima possibile. Ma a volte in mare qualcosa va storto: e allora occorre portare una tolèla, una tavoletta ex voto, a San Domenico o a San Giacomo, che ancora le contengono, a San Filippo e a Sant'Andrea, patrono dei pescatori, al Duomo intitolato a Maria Assunta, al Signore che «végia 'sto batelo, 'na vela per rivare giusti per calare, végia el vento bon che no l'èbia da girare». Come il vigariòlo di Comisso, i Truma riconoscono a distanza dalle vele le fattezze di chi torna a casa dal mare, di chi li aspetta sulla riva, di chi fa festa con loro all'osteria: «Vardo el paese da sora la riva, da dove se vede la casa e le cèse»; altrimenti si fonde «un recìn de oro per farse soterare» per chi -svoltato l'angolo di San Domenico- non è riuscito a rivedere la propria sposa. “Végia” è un brano sacrale e commovente, tenue e vagamente deandreiano nella poetica, culmine autoriale che si fa epos di popolo. E la tolèla nella vicina chiesa poteva portarla “La Bomba del Squero”, «pì grossa de un vièro pien» (i vieri sono i contenitori delle prelibate moléche): altra leggenda metrolagunare della Chioggia anni Ottanta, farsa grottesca da una storia vera, fanfara che incalza a punta Poli. Divertente per chi la ricorda, meno per la poveretta che l'ha subìta.

Per grazia ricevuta abbraccia uno spettro sonoro se possibile ancora più vario rispetto al pur ricco debutto: si è aggiunto in formazione il violino di Riccardo Gigo, fanno la loro comparsa il theremin e l'ukulele, il mandolino e i carillon, i preziosi contributi di ospiti dalla scena chioggiotta come Chiara Doria che presta la sua voce a due brani, la tromba di Mirco Parisi nell'”Insicurezza tipica delle isole”, il pianoforte di Gianni Zennaro “Garolo” che contrappunta “La marea”, unico brano in italiano. Uno standard jazzato da club fumoso e francese, à la Cammariere, spiega a tutta l'Italia le più intime sensazioni che l'acqua alta eccezionale -ancora di rado in grado di abbattersi sulle città e i paesi di laguna sud- reca a chi ci vive: «Gli stivali sempre troppo bassi, orecchie puntate, occhi sbarrati, alla ricerca di un passaggio in quest'oceano senza rive, bloccati sotto un arco per capire». Fuori dall'acqua, «lontan dai pòrteghi e da le piasse, in boca a la buòra e ai desperai», c'è la Munega Mata: equilibrio delicato tra il ritmo incalzante, l'ambiente torvo, assonanze e allitterazioni, le parole di allora e quelle di oggi, il violino tzigano dall'Ungheria yiddish, agganci al reale, un marranzano che rimanda al Capossela meridionalista e una vicenda oscura che tutti a Chioggia raccontano ciascuno a proprio modo, senza ancoraggi o punti fermi.

Perché l'insicurezza tipica delle isole sta proprio nella differenza tra «noialtri e el resto del mondo» mariachi, gente che «se ferme a vardare le onde romparse su le rive, nel mezo de ogni tempesta» anche se “La bona stagion” sta iniziando davvero a dare i suoi effetti: un brano dal sentore adriatico e mediterraneo che è pura osservazione, video ambulante di Sottomarina all'alba di maggio, «doman dovarave fare mègio, le puoche luci del lungomare / come un crocale fermo su la riva in serca de qualcossa da becolare». L'insicurezza tipica degli isolani è la consapevolezza amara che «solo tì ti puoi portarme via de qua, e da 'sta vita che n'ha ciavà», è che a un'ora da tutto siamo come “Strasse a stèndare”, altro manifesto del disco: «Avémo sercà fortuna puntando verso tèra, ma trovà la vita sora 'sta laguna, nissioi in vista che sbate al vento e che no à mai pase, e tute le so' àneme ze ben se destriga», musica leggera e sprazzo pop nel cuore della canzone italiana di alta radiofonia.

Undici brani, prodotti artisticamente dagli stessi Truma e registrati da Marco Chiereghin con Riccardo Vianello: nuove visioni dell'immutabile, pennelli delle tradizioni per affrescare ciò che si evolve, un atto d'amore alla terra di acque e a chi dallo scoglio verghiano non uscirà mai del tutto. Una tolèla di ringraziamento alla musica, a quel che vedono gli occhi ogni giorno: «Dime che forse, che tì ti à capìo, che ze mègio fermarse che córarse a drìo».

Il cd Per grazia ricevuta si può acquistare al prezzo di 10 euro al Pointbreak in lungomare Adriatico a Sottomarina.